Nei momenti di incertezza e di cambiamento, quando diventa difficile guardare al futuro, acquisiscono importanza i valori focalizzati sul Benessere, sulla Sicurezza e il Rispetto dell’ambiente. Durante la pandemia, i trend ci confermano che le richieste nel mondo della cosmesi aumentano in maniera esponenziale, anche nei momenti più bui. Vi è una maggiore propensione alla personalizzazione e alla scelta di un certo tipo di marchi che incarnano determinati valori. Per arrivare al vero senso della Bellezza l’uomo deve riconciliarsi con il buono, con il vero e con il bello. I tre valori indispensabili per restituire alla Bellezza il suo ruolo di responsabilità sociale. Si sente il bisogno di recuperare la cura di sé, generando un modo di essere e di sentire tale da riconciliarsi nella rete delle relazioni che esiste al di fuori del proprio mondo. Si tratta di connettere il macrocosmo con il microcosmo, osservando con attenzione il proprio agire e il proprio sentire, e nel contempo la natura e gli altri esseri umani.
Ne parliamo oggi con il Dott. Massimiliano Giobergia esperto di Sviluppo Business nell’area Private Label e Retail del settore Beauty.
GA: Dott. Giobergia, la sua esperienza maturata nel mondo dei viaggi a livello dirigenziale l’ha portata ad avere un approccio particolare nei confronti del cliente. Ce ne può parlare?
MG: Il cliente nel mondo travel è concepito come “ospite” a cui dedicare ascolto, attenzione e dedizione e credo che questo concetto debba essere mutuato anche nei saloni di bellezza, poiché il cliente è effettivamente un gradito ospite e come tale dovrebbe essere trattato. A volte una semplice parola può cambiare la prospettiva nel rapporto. Vedo molta similitudine tra il viaggio, la vacanza e il percorso che si fa in un salone di parrucchieri, in una spa o in un centro estetico. Come nel viaggio stiamo proponendo un sogno, così avviene nei Saloni di Bellezza. Nulla ci fa sentire meglio che guardarci allo specchio e vederci belli e sorridenti. È infatti questo il sogno che tutti ricerchiamo e che si realizza soltanto nel momento in cui l’operatore mette le mani sulla nostra pelle o sui nostri capelli con attenzione, dedizione e professionalità. In fondo l’esperienza in un salone è una piccola vacanza. Quando si entra in un centro estetico o da un coiffeursi vuole trovare sempre un momento di relax e di benessere. È un’idea di cross contamination di realtà che mettono al primo posto il benessere delle persone e che possono essere utili per approfondire il rapporto con i clienti/ospiti.
C’è anche un altro aspetto nel rapporto con l’ospite che potrebbe essere mutuabile anche nel mondo della Bellezza ed è il momento del Check-in e del Chek out dell’ospitalità, fasi fondamentali di “attenzione” che servono a rilevare dettagli di richieste, esigenze, gradimenti o eventuali incomprensioni. Sono momenti strategici anche per la rivendita dei prodotti.
GA: A tale proposito nei Saloni di Bellezza si dà ancora poca importanza alla rivendita dei prodotti di mantenimento, sia per una cultura acquisita del settore – che vede ancora l’operatore come “artigiano” e non come “imprenditore” quale realmente è -, sia per la scarsa conoscenza descrittiva dei prodotti cosmetici, che invece dovrebbe essere prerogativa esclusiva degli operatori della bellezza. Secondo lei in che modo si potrebbe aiutare a cambiare passo in questo senso ridando fiducia alla capacità economica che la rivendita possiede?
MG: La formazione ha un ruolo determinante in questo processo perché oltre a veicolare la conoscenza intrinseca del prodotto e la sua capacità di mantenere le performance qualitative del servizio tecnico nel tempo, veicola una serie di competenze in grado di aiutare questo processo. Penso ad esempio al ruolo del merchandising o del visual merchandising, dove lo studio dell’esposizione dei prodotti, dei percorsi informativi all’interno del salone possono determinare la vendita già da soli. Purtroppo si vedono spesso i prodotti relegati in angoli bui, impolverati, nascosti o addirittura chiusi a chiave dentro tristi vetrine. La cultura della vendita va insegnata e deve diventare un servizio pari agli altri, partendo dalla vetrina ed entrando all’interno del salone, nelle cabine e sulle postazioni di lavoro. Perché è un paradosso che i cosmetici non vengano venduti nei luoghi dove si crea Bellezza!
GA: Quali sono gli elementi che andrebbero rafforzati affinché la Bellezza ritrovi i suoi valori fondanti e riconosca il suo potere salvifico nei confronti dell’umanità? Quali sono le sue previsioni per il futuro del mercato della Bellezza specialmente in questo momento storico in cui l’umanità intera chiede punti di riferimento solidi?
MG: Sicuramente la conoscenza della storia e delle nostre umane tradizioni. Bisogna promuovere e premiare le capacità, il talento e l’impegno. Purtroppo la cultura del bello sta scomparendo in favore di un’estetica priva di valore e di valori, anche nelle scuole. Il progresso tecnologico ha aperto la strada al fenomeno di “democratizzazione” delle professioni, che da una parte è positivo, ma dall’altra fa credere alle persone che guardando un tutorial online si possa diventare esperti di tutto. Senza contare che ciò ha appiattito moltissimo la creatività in un mercato che pretende “tutto e subito” e “a basso costo”, piuttosto che un lavoro ben fatto. A questo processo assistono tutti i settori che si occupano di Bello e Bellezza. Professionisti con la P maiuscola non si diventa in un attimo, richiede studio, anni di dedizione, vocazione, e sacrificio. Che però alla fine devono essere riconosciuti, altrimenti si cade nel solito circolo vizioso che La Cosmetica Umanistica intende spezzare. Infine sono imprescindibili l’educazione, il rispetto degli altri e l’etica nel lavoro. Anche queste non sono scienze infuse, bisogna alimentarle con lo studio e con l’esempio.
GA: Quali sono i consigli che darebbe ad un giovane che vuole intraprendere la sua carriera professionale nel mondo della bellezza?
MG: Lo studio, la cultura multidisciplinare, le lingue, la curiosità d’imparare, la voglia di intraprendere una carriera sicuramente difficile ma che darà i suoi frutti. Una buona capacità di ascolto e una buona dose di umiltà. Non ultimo, avere un proprio stile portato con sobrietà ed eleganza d’animo. Non dimentichiamoci che l’abito fa il monaco.
GA: Lei è un uomo molto elegante, dai gusti raffinati e dalle maniere d’altri tempi. Le sue origini nobiliari in che modo influiscono sul suo lavoro? I valori comportamentali attribuiti tradizionalmente alle famiglie nobili possono avere ancora un senso oggi?
Assolutamente sì, dovrebbe essere un’ispirazione data da tutte le famiglie. Non parlo di atteggiamenti che spesso diventano vezzi o inutili cerimonie, ma parlo di valori e semplici buone maniere. Parlo di rispetto, educazione, cortesia, eleganza vera, sobrietà, in contrapposizione a un mondo che incoraggia il chiasso, l’apparenza grossolana e la maleducazione scambiandola per personalità. Fortunatamente college e accademie stanno rispolverando antiche regole rintracciabili nel galateo, fino a poco tempo fa considerate sepolte. L’abito è il primo biglietto da visita, il protagonista di un sistema di segnali adottato per comunicare in modo chiaro e immediato informazioni culturali: fondamentale nella classe dirigenziale. L’eleganza non è ostentazione ma discrezione, buon senso e savoir faire. Per quanto ci sia stata una giusta emancipazione femminile trovo che un inchino ed un fiore siano sempre graditi ad una Donna, sono un omaggio e un gesto discreto di rispetto e ammirazione.
L’eleganza è educazione. In questo senso auspico un ritorno della nobiltà d’animo.